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Le iniziative della Fondazione Bottari Lattes sulla sua pagina Facebook

La sede principale della Fondazione Bottari Lattes (via Marconi 16, Monforte), la Biblioteca Pinacoteca “Mario Lattes” (via Garibaldi 16, Monforte d’Alba) e lo Spazio Don Chisciotte (via Della Rocca 37b, Torino) sono al momento chiuse al pubblico.

I lettori e il pubblico delle mostre possono però seguire la pagina Facebook (www.facebook.com/fondazionebottarilattes) e il canale You Tube della Fondazione Bottari Lattes perché lo spazio virtuale di condivisione resta sempre aperto, con notizie dal mondo culturale e attraverso testi, immagini, video delle iniziative realizzate nel corso dei dieci anni di attività della Fondazione.

Quotidianamente vengono proposte diverse rubriche

#TheBestOf per un viaggio nelle mostre organizzate tra Monforte d’Alba, il territorio cuneese e Torino, tra pittura, disegno, fotografia e scultura.

#consiglidilettura e #rilettura, per curiosare tra i libri degli scrittori finalisti e vincitori del #PremioLattesGrinzane e ascoltare interventi dei giurati che hanno piacere di condividere con noi romanzi, saggi, poesie, per invitare giovani e adulti a leggere o rileggere testi classici e contemporanei. ==> al fondo della pagina trovate i consigli pubblicati su Facebook

#lectiomagistralis di autori del #PremioLattesGrinzane, per ascoltare le parole di autori internazionali e le loro riflessioni sulla letteratura e la vita:
António Lobo Antunes, 2018:

/> Ian McEwan, 2017:

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/> Amos Oz, 2016:

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/> Javier Marías, 2015:

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Lo staff della Fondazione intanto continua a lavorare a progetti culturali e iniziative legate alla lettura e all’arte, in particolare:
– Il progetto europeo ETI:
https://bit.ly/2WLlnKC
– Il Premio Lattes Grinzane:
https://bit.ly/33LLi6g
– Il nuovo Premio Biennale Mario Lattes per la Traduzione:
https://bit.ly/3awDDvn

I #CONSIGLIDILETTURA e #RILETTURA:

Il consiglio di Roberto Alajmo

Secondo me ci stiamo concentrando tutti sul Camus sbagliato. Tutti citano ‘La Peste’, e la pestilenza ce l’abbiamo già troppo addosso. In realtà vorrei consigliare un altro Camus, quello del ‘Mito di Sisifo‘, dove si trova l’insegnamento più utile, in un periodo del genere: quando vediamo il masso rotolare a valle, dopo che avevamo fatto tanto per trascinarlo fino in cima, dobbiamo vincere lo scoramento, scendere a valle e riportarlo su. Questa è la nostra natura di uomini. E poi, come diceva ancora Camus: nel pieno dell’inverno ho scoperto che c’era in me un’invincibile estate.

Il consiglio di Marco Balzano

Ho appena finito di leggere l’autobiografia di Woody Allen, A proposito di niente, pubblicata in Italia da La nave di Teseo. A parte i capitoli che ricostruiscono l’affaire del 1993 con Mia Farrow, ci sono pagine stupende, in cui ritroviamo lo spirito migliore di Allen: sembra di passeggiare con lui per la sua amata New York, ritroviamo momenti di potente comicità ma anche acute riflessioni sulla caducità dell’esistenza pronunciate con tono solo apparente lieve. E ancora: lunghe tirate sulla vita e la morte, sul nostro posto del mondo e sulla difficoltà delle relazioni, sulle donne e sul sesso, sulla psicanalisi e sulla musica jazz. Insomma, questo è un libro vero, che rivela quel gusto del racconto, del dialogo e, più in generale, della parola che gli ammiratori di Allen conoscono bene. Si ride, certo, ma ci sono anche tante pagine di notevole slancio lirico. Anzi, sono queste a mio avviso le più belle del libro. Lo stile di Allen non è mai compiaciuto, ma è sempre leggero, ricco, pieno di ironia e di autoironia. In questi giorni così lunghi e difficili mi ha regalato qualche momento di distrazione. E non era affatto facile.

Il consiglio di Giovanni Barberi Squarotti

Ferito a morte di Raffaele La Capria (1961), romanzo dall’architettura narrativa complessa e raffinatissima, è forse il primo vero (e grande) esempio di stream of consciousness della letteratura italiana. È una lettura che impegna, ma tanto è impegnativa quanto struggente e capace di lasciare dei segni. Attraverso gli occhi di Massimo – che armato di fiocina insegue sui fondali, in vano, un’enorme spigola di dieci chili come una sorta di Moby Dick del Golfo – si racconta la caduta dei grandi sogni della giovinezza, e insieme la vacuità e lo sfacelo dell’alta borghesia napoletana dietro lo splendore della dolce viga degli anni Cinquanta. Sullo sfondo, Napoli, e in particolare il fantasmagorico Palazzao Donn’Anna a Posillipo.

Il consiglio di Anna Battaglia

Il mio suggerimento? La parete, di Marlen Haushofer, traduzione italiana di Ingrid Harbeck, e/o edizioni, 1918 (ed. or. 1963, trad. it. 1989, 1993).
Pubblicato nel 1963, La parete (Die Wand) narra in prima persona di una donna che si trova a dover vivere una situazione inattesa, terribile, inspiegabile, di durata ignota, e che la obbliga a ricuperare gesti, attività, ritmi impensabili nella sua vita precedente.
Quale storia più adatta ai giorni estranianti che stiamo vivendo ora?
La protagonista, non ha un nome, è invitata dai cugini a passare un fine settimana nel loro chalet di caccia, in montagna. La sera dell’arrivo è stanca, preferisce non seguirli nella passeggiata in paese, ma la mattina seguente si rende conto che loro non sono rientrati. Si incammina verso valle con il cane, e improvvisamente il cane e poi lei urtano contro un muro invisibile: si capisce ben presto che qualcosa di strano è successo dall’altra parte, e che non c’è nessuna possibilità di uscire da quel luogo. È così che con il passare dei giorni e poi dei mesi, poi delle stagioni, è costretta a imparare azioni primordiali come piantare, seminare, raccogliere, mungere, cacciare, riparare e costruire, curarsi. Perde il senso del tempo, non ha più un orologio con cui misurarlo: è la natura a dirle il punto del giorno, o dell’anno. Le scorte, accumulate provvidamente dal cugino che considerava lo chalet un eventuale bunker antiatomico (siamo in piena guerra fredda e minaccia atomica), vengono razionate con attenzione e poi con ansia: un fiammifero, una scatola di sale, una matita, una cartuccia per il fucile, assumono di nuovo il loro vero valore, non c’è nulla che sia dato per scontato. E meno ancora per scontati sono i prodotti della terra che riesce a ottenere, raccogliendoli o coltivandoli: una patata, una mela, le bacche… diventano la sopravvivenza. Nel 2012 Julian Roman Pölsler ne ha tratto un film, con Martina Gedeck (indimenticabile interprete de Le vite degli altri, 2006). Accenno al film di Pölsler perché mi aiuta in negativo a parlare della situazione narrata. Ho visto soltanto qualche scena, e mi sembra abbia tradito il senso: solo immagini di claustrofobica isteria, paura, angoscia, depressione. Certo c’è la paura, è ammessa, confessata, ma ne fa impulso all’azione, fino a stordirsi nell’attività fisica e rifugiarsi nel sonno. Sì c’è la depressione, talvolta lo scoraggiamento, ma prevale la lucidità. Non c’è compiacimento nella solitudine, nella nostalgia, non c’è rimpianto o angoscia per le figlie che sono rimaste al di là della parete, non c’è ripiegamento nella memoria del marito morto poco tempo prima. Una sorta di sana anaffettività forse, di freddezza per affrontare la sospensione obbligata della sua vita. Con il cane che si è trovata con la casa, con la gatta e con la mucca che le capitano in seguito, per caso – tracce di vita dalla foresta che la circonda –, lei instaura un rapporto di reciprocità, di collaborazione, mai di sopraffazione e mai di sdolcinata compensazione. Senza svelare nulla della conclusione, si può capire dalla forza di questi legami che nel racconto di Haushofer gli animali sono moralmente e affettivamente senz’altro migliori degli umani. La protagonista scrive perché rimanga memoria di questa sua esperienza, e interrompe quando finisce la carta e finiscono le penne e le matite: descrizioni fattuali, senza ombra di sentimentalismo. Non si sa cosa succederà, né cosa è successo. Metafora ecologica ante litteram, forse, ma La parete è soprattutto introduzione ad una realtà straniante, è una di quelle letture che si imprimono come filtro in modo permanente per guardare le cose in modo diverso, per conferire esistenza e visibilità all’irrilevante.

I consigli di Gian Luigi Beccaria

I promessi sposi di Alessandro Manzoni, non solo per le grandi pagine sulla peste, attualissime ora in tempi di Coronavirus, ma per il senso profondo del turbinio della Storia, che gira intorno ad umili e potenti, e che tutto trascina, inesorabile, e spazza.

I consigli di Steania Bertola

DICKENS, nulla è meglio di Dickens per accompagnare le giornate. Entri nei suoi romanzi ed è come ricevere in dono una vita parallela, che ti accompagna volentieri lungo la giornata: un po’ di Dickens col caffè del mattino, e poi dopo pranzo, e qualche pagina a merenda, e la sera, prima di dormire… con quella bella sensazione che ti danno i romanzi lunghi: sai che non ti abbandoneranno per un po’.
Scegliete IL NOSTRO COMUNE AMICO, per me il più bello dei suoi romanzi, o NICHOLAS NICKLEBY, che appassiona e fa divertire, o MARTIN CHUZZLEWIT o CASA DESOLATA, e non vi sentirete nè chiusi, nè soli.

Leggete AGATHA CHRISTIE, leggete DAVID SEDARIS, leggete i racconti di WILLIAM TREVOR, leggete GEORGETTE HEYER, leggete autori che non vi fanno la morale, non vi propongono un nuovo mondo, non vi chiedono di cambiare stile di vita, ma semplicemente vi raccontano belle storie, vi fanno ridere, vi portano in un mondo che conforta e consola. Di questo abbiamo bisogno adesso.

I consigli di Valter Boggione

Questo momento di sospensione è l’occasione buona per affrontare finalmente quei classici che abbiamo sempre lasciato da parte, perché troppo impegnativi o troppo lunghi, e che magari nel frattempo sono un po’ passati di moda. Ma resisto alla tentazione di consigliare la Ricerca di Proust o l’Uomo senza qualità di Musil, e punto su due titoli molto diversi tra loro, l’uno un classico ancora troppo poco conosciuto in Italia, l’altro un piccolo, delizioso libretto.

Addio a Berlino di Christopher Isherwood (Adelphi) è un libro singolare per struttura, a metà tra raccolta di racconti e romanzo (come I penultimi di Fenoglio), con un mutare continuo di prospettiva sui fatti e i personaggi dall’uno all’altro testo. Ma è soprattutto uno straordinario ritratto della Germania tra l’autunno 1930 e l’inverno 1932-33, con la crisi della Repubblica di Weimar e la “resistibile ascesa del nazismo”. “La prova generale di una catastrofe” è indagata attraverso la vita quotidiana della gente comune, un’attricetta disposta a tutto per raggiungere il successo, una famiglia proletaria alle prese con insormontabili difficoltà economiche, una vecchia affittacamere perbenista, l’inconsistente rampolla di una famiglia ebraica: il sentimento che se ne ricava è di una condizione claustrofobica come quella che stiamo vivendo, seppure solo a livello psicologico, di un’angustia di prospettive che suscita nei personaggi una disperata e irresponsabile volontà di evasione che aprirà al più terribile degli incubi. Un epicedio del mondo germanico che ricorda La cripta dei cappuccini di Roth: ma con uno sguardo più spietato, con minore nostalgia, in quanto portato dall’esterno, da un inglese emigrato a Berlino.

La primavera è la stagione delle gite, delle visite ai giardini, che quest’anno non potremo fare. Ma Il signor giardiniere di Frédéric Richaud (Ponte alle Grazie) ci saprà guidare nella visita di uno dei più grandi e spettacolari giardini del mondo, quello di Versailles. Sarà una visita non soltanto nello spazio, ma nel tempo, a ritrovare il progetto originario, lo spirito e gli intenti che ne avevano guidato la creazione; e avremo una guida d’eccezione, Jean Baptiste de La Quintinie, il “direttore dei giardini fruttiferi e ortensi di tutte le dimore reali” francesi. Spirito eclettico e indipendente,  La Quintinie non esitò a piantare in asso il suo ingombrante sovrano, il Re Sole, salvo tornare indietro, perdonato, per amore del suo giardino, “capolavoro della natura che nessun architetto avrebbe mai eguagliato”. Ma non aspettatevi uno sguardo (e un libro) monumentale. Gli occhi del giardiniere reale sono capaci di rivelarci le piccole meraviglie della natura che non abbiamo tempo di guardare mai: “E io, io non esisto più nel mezzo di questi piccoli universi, ciascuno dei quali è per me più grande di tutte le vostre galassie”. Un singolare romanzo storico, in cui incontriamo i grandi personaggi della storia del Seicento, da Condè a Colbert, da Madame de Sévigné a La Rochefoucalult, da Lully a Bossuet, colti da uno sguardo eccentrico e marginale.

I consigli di Isabella Camera D’Afflitto

1) Consiglio il romanzo dello scrittore libico-canadese Hisham Matar (1970), dal titolo Padri, figli e la terra fra di loro (traduzione dall’originale inglese di A. Nadotti, Torino, Einaudi, 2017). in questa toccante autobiografia Premio Pulitzer 2017), l’autore rievoca la sua infanzia in una Tripoli ancora devastata dalla politica coloniale italiana e in cui si sta affermando la cruenta dittatura del regime di Gheddafi.

2) Consiglio inoltre il romanzo dell’egiziana Basmah ‘Abd al-‘Aziz (1976), La fila (al-Tabur, traduzione dall’arabo di Fernanda Fischione, Nero-Not, 2018), che meglio rappresenta il genere distopico arabo così in voga in questi anni. Il titolo si riferisce ai tanti disperati che, in un paese nordafricano non specificato, devono convivere con eterni autoritarismi. I protagonisti di questa lunghissima fila aspettano l’apertura di una Porta, in seguito a dei “disgraziati eventi”: chiaro riferimento al fallimento delle cosiddette primavere arabe.

I cosigli di Jón Kalman Stefánsson

Tomas Tranströmer, the great Swedish poet, Nobel Prize in 2011. I trust that you´ve at least translation of his selected poems. If not, you´re surely lost! Tranströmer is one of the most wonderful poets, publish many books of poetry, all them rich, deep. Too read his collected works is to travel through great, rich and fertile continent. His poems are full of grace, wisdom, curiosity and always some wonder, something totally unexpected which open up your mind and senses:
On my way home I see mushrooms sprouting through the grass.
They are fingers, stretching for help, of someone
who has long been sobbing alone down in the darkness.
We are the earth.
(Sketch in October, PATHS, 1973)

The other one is Un´Altra Vita by other Swedish other, Per Olov Enquist, published in Sweden 2008; on of the most remarkable autobiography I´ve read. On the same level and the great A tale of love and darkness by Amos Oz, another book everyone must read. You should read it straight afer Un´Altra Vita by Enquist! Enquist book is a wonderful, strong, funny, desperate, ironic autobiography told in third person, because that was the only way Enquist could cope with the story, the material; his own life.  This narrative mode gives Enquist the result that the reader can at same time read it as a passionate, honest, cutting autobiography and wide and rich novel.

I consigli di Laura Pariani

1) Un invito a rileggere uno di quei libri che forse giacciono in letargo su qualche scaffale di casa.

C’è un raccontino di Franz Kafka, Essere infelici, che nella rilettura mi ha colpito, anche perché inizia con un personaggio che corre da solo in una stanza, proprio come succede a noi che in questi giorni misuriamo all’infinito le distanze dal letto alla porta, dal divano al tavolo:
Una sera di Novembre – non ce la facevo più e misuravo di furia i passi sullo stretto tappeto della mia stanza come se fosse una pista, mi sgomentava la vista della strada illuminata, facevo dietrofront per trovare del resto un altro limite nel tavolo e nel fondo dello specchio – solo per sentirlo cacciai un grido cui niente rispose.”
A questo punto il protagonista si accorge che nella stanza è comparso qualcuno:
Un fantasma di fanciullo percorse tutto al buio il corridoio dove la lampada non ardeva ancora e rimase ritto su una striscia d’impiantito che oscillava impercettibilmente.
Da dove sbuca? Cosa vuole?… Il protagonista sembra vivere la comparsa del fantasmino come un’intrusione:
In fondo vi trovate nella mia stanza. Strofinate come un matto quel dito sulla mia parete. La mia stanza, la mia parete!”
Uscito per rabbia sul pianerottolo, il protagonista ha un battibecco con un vicino di casa: evidentemente non ha amicizie nel caseggiato in cui vive. Subito rientra e si butta sul letto con gran sconforto, perché il fantasmino è scomparso.
Il tempo di questo racconto è vago: è ieri, è un anno fa, è il passato remoto del c’era una volta. Allo stesso modo il protagonista è senza nome: è ciascuno di noi. Un ciascuno isolato, spaventato, e quindi aggressivo.
Il titolo, Essere infelici, mi fa venire in mente un’affermazione di Freud: “l’uomo felice non fantastica mai; solo l’insoddisfatto lo fa”. Insomma quando ci vanno stretti – o ci spaventano – i confini della vita quotidiana, ci mettiamo a sognare a occhi aperti: inventiamo parole e immagini, creiamo perfino compagni senza corpo che forse per un momento ci distraggono dal dolore…
Allora per avere una fiammata di fantasia bisogna essere infelici? Se così è, questo periodo di solitudine e di primavere inventate alla finestra ci farà produrre capolavori? Chi lo sa.

2) Mi ricapita tra le mani il Diario di Etty Hillesum, una giovane ebrea olandese che morì a Auschwitz. Una sorta di sorella maggiore di Anna Frank. In un accerchiamento che a Amsterdam si fa sempre più stretto e mostruoso – vietato agli ebrei entrare nei negozi, vietato frequentare parchi, vietato andare in bicicletta – Etty cerca di mantenere vivi i suoi sogni. E mi commuove l’immagine di questa ragazza seduta su una pattumiera nell’angolo della stanza dove stanno decidendo chi mandare al forno crematorio: mentre intorno si sta scatenando l’Inferno, lei si concentra a leggere un librino delle poesie di Rainer Maria Rilke, cercandovi quello che sempre si cerca in un buon poeta: gioia e tremore, senza false consolazioni.
Mi viene in mente una poetessa che amo molto, Emily Dickinson: negli Stati Uniti di metà Ottocento, visse reclusa in una stanza scrivendo brevi versi su brandelli di carta cuciti con ago e filo a comporre minuscoli quaderni. Le sue Poesie sono come un diario segreto:
Questa è la mia lettera al Mondo
Che a Me non ha mai scritto.”
Versi che raccontano la traversata dei lunghi momenti di sconforto:
Quelle notti del cervello
In cui nessuna Luna svela un segno –
Nessuna Stella brilla dentro –”
Ma – dice Emily – se non ci si abbandona alla paura e si continua a andare avanti, alla fine gli occhi si adattano all’oscurità,
E la Vita procede quasi diritta.

Il consiglio di Antonietta Pastore

L’inganno delle sciamane (traduzione di Paola Scrolavezza, Safarà Editore), è un’opera di Enchi Fumiko, una delle più importanti scrittrici giapponesi del Novecento. Ambientato all’inizo del secondo millennio nella raffinata corte imperiale del periodo Heian (794-1185), il romanzo mette in scena la storia d’amore tra l’Imperatore Ichijo e la sua Prima Consorte Teishi; un legame mal visto dal potente Cancelliere Michinaga, che introduce a corte dame di compagnia a sua scelta – le sciamane del titolo -, in modo da poter influenzare il giovanissimo sovrano e usarlo ai propri fini politici. Tra queste Kureha, una donna passionale nella quale molti vedono la vera protagonista dell’opera. Kureha, al pari delle altre, è utilizzata da Michinaga come una pedina, ma pur essendone consapevole, rifiuta il ruolo passivo e l’atteggiamento sottomesso considerato idoneo a una donna, e tenta di difendersi in un ambiente dominato dagli uomini. Pubblicato in Giappone nel 1965, L’inganno delle sciamane anticipa di mezzo secolo il discorso di genere e può essere considerato una rivisitazione in chiave femminista del capolavoro della letteratura classica giapponese – il Genji Monogatari, scritto nel periodo Heian da una dama di compagnia, Murasaki Shikibu (Storia di Genji, traduzione di Annamaria Oris, Einaudi Editore). Nel romanzo, di altissimo valore letterario, Enchi Fumiko si serve di un espediente – il ritrovamento di un manoscritto – che le permette di intrecciare finzione e realtà storica, raccontando la vicenda dal punto di vista delle donne.

I consigli di Alessandro Perissinotto
I Promessi sposi di Alessandro Manzoni.

Il consiglio di Romana Petri

Mi fa piacere consigliare la lettura di L’amore ai tempi del colera di Gabriel García Márques, non solo per i tempi che siamo vivendo, ma per la prodigiosa storia d’amore, una delle più belle del ‘900 che questo straordinario romanzo racconta. Forse l’unico di García Márquez a non utilizzare quel realismo magico che lo rese celebre in tutto il mondo. Tutta l’irrealtà di questo sorprendente romanzo sta nella lunghissima attesa di Florentino Ariza per conquistare Frimina Daza, la donna  amata: cinquantatre anni sette mesi e undici giorni, notti comprese. Una ragazza che per un breve periodo aveva ricambiato i suoi sentimenti e che poi si era sposata con un altro. Sarà quando il rivale morirà, dopo tutto quel tempo mai smesso di contare, che Florentino si ripresenterà alla sua amata. Un tempo, in un ristorante, aveva comprato un enorme specchio in cui, per tutta la durata di una cena insieme al marito, la bella immagine di Firmina si era riflessa.

Il consiglio di Lara Ricci

È stato pubblicato da poco “Opere di Arthur Rimbaud (Marsilio), testo a fronte, con tutti i versi e le prose più una selezione di lettere sullo scrivere, a cura di Olivier Bivort e la nuova traduzione da Ornella Tajani. Una bellissima edizione destinata a rimanere un riferimento, dal prezzo accessibile (20 euro).
Uscito qualche mese fa, “Rinascere di Nicola Gardini (Garzanti), sembra essere stato scritto apposta per pensare la quarantena e ciò che seguirà. Da Leonardo a Ariosto, da Poliziano a Fracastoro, Gardini ripercorre con grande lucidità e originalità il Rinascimento, un’epoca che guarda al passato, ma lo fa per immaginare un nuovo futuro. Dello stesso autore consigliamo anche “Con Ovidio”, perfetto per questi giorni di incessanti metamorfosi.

Viet Thanh Nguyen

Two books I am almost done with that are very good are:
Sigrid Nunez’s The Friend, which won the National Book Award here. A short, moving, and surprisingly funny novel about death, friendship, dogs, love, mourning, and writing.
Donna Tartt’s The Goldfinch, which won the Pulitzer Prize; I’m listening to this novel, and it is a long and luxurious story about an orphan and a stolen painting that ultimately becomes quite gripping.

Info al pubblico: 333.8685149

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