La pittura dimenticata Mario Lattes e l’Informale in Italia, tra gli anni ’50 e ’60
Dal 21 novembre 2014 al 31 gennaio 2014 a Torino, allo Spazio Don Chisciotte della Fondazione Bottari Lattes è in programma la mostra La pittura dimenticata. Mario Lattes e l’Informale in Italia, tra gli anni ’50 e ’60.
L’esposizione, curata da Ettore Ghinassi, presenta una selezione di opere di Mario Lattes, risalenti al suo periodo astratto, che fanno da corollario a quelle di 6 artisti – Antonio Carena, Alfredo Chighine, Mario D’Adda, Tancredi Parmeggiani, Sergio Romiti e Piero Simondo – protagonisti dell’astrazione informale italiana, tra gli anni ’50 e ’60 del secolo scorso. La loro ricerca si pone nell’alveo di una cultura figurativa di matrice italiana ed europea, caratterizzata da una sintesi di invenzione e rigore formale.
La rassegna si pone l’obiettivo di riportare sotto la giusta considerazione storico-critica una generazione di autori che ha scritto un’importante pagina dell’arte contemporanea italiana del Novecento, la cui memoria si è trasformata, in alcuni casi, in oblio, come per Mario D’Adda, o nella comprensione solo parziale di una sperimentazione multiforme, com’è avvenuto per le opere astratte di Mario Lattes, per quanto non numerose e di breve periodo.
Pur nella diversità delle personalissime inclinazioni tecnico-stilistiche – afferma Ettore Ghinassi nel suo testo in catalogo – questi sette autentici pittori sono stati scelti per delineare un aspetto dell’Informale italiano estraneo alle formule più corrive – pittura gestuale o d’azione, poetiche del segno o della materia – che di solito vengono associate alla tentazione di risarcire con nuove protesi semantiche (attinte, a esempio, dalla psicologia dell’Inconscio) l’amputazione del significato operata dall’astrattismo.
Durante il periodo di apertura, sono previsti due serate di approfondimento sul periodo storico preso in considerazione dalla mostra e su alcuni protagonisti di quegli anni.
Antonio Carena
Nato a Rivoli (TO) nel 1925. Nel 1945 frequenta i corsi di pittura di Enrico Paulucci conseguendo il premio “Dino Uberti” in qualità di miglior diplomato dell’Accademia Albertina di Torino, e a Napoli vince il premio “Cattedra di Pittura” al concorso nazionale delle Accademie. Professore di discipline pittoriche fino al ‘94 al Liceo Artistico Statale “Renato Cottini” di Torino, è stato direttore dell’Accademia di Belle Arti di Cuneo.
Tiene la sua prima personale nel 1955 a Torino, al Circolo Europa Giovane, presentata da Albino Galvano; nel 1994, il Circolo degli Artisti ospita una sua antologica, presentata da Mirella Bandini; tre le personali più recenti, si ricordano quelle del 2007, alla Casa del Conte Verde, presentata da Francesco Poli, quella del 2008, alla GlobArt gallery di Acqui Terme, presentata da Ivana Mulatero.
Per la serie cielo-quanto-ti-amo ha dipinto soffitti e pareti in spazi pubblici (Castello di Rivoli; Hôtel de Ville d’Albret a Parigi per conto del Ministero dei Beni Culturali; Piscina Maglione, Santhià, Bondarte; Bagnolo Piemonte, Il canto della Pietra; Accademia Albertina, Torino) e privati: a Ginevra, direzione Martini e Rossi; a Roma, Fiat; a Rivoli, via Rombò; a Torino, palazzo Scarampi, villa Corte Bonvicino, biblioteca Palazzo Marchesi Spinola.
Ha partecipato alla XXV Biennale di Venezia, alla VII Quadriennale di Roma, alla IV Biennale di San Marino. Ha esposto in collettive tenute in importanti spazi espositivi, quali il Palazzo delle Esposizioni di Roma, la Galleria d’Arte Moderna di Torino, la Promotrice delle Belle Arti di Torino, il Museo sperimentale di Torino, il Castello di Rivoli, la Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino, il Museo di Tolosa.
Alfredo Chighine
(Milano 1914-Pisa 1974) frequenta i corsi d’incisione all’Umanitaria dove conosce Franco Francese. Nel dopoguerra s’iscrive ai corsi di Giacomo Manzù all’Accademia di Brera. Alla scultura si dedica lungo gli anni ‘40 (del ’41 è il suo esordio e la Biennale del ’48 vede due sue figure lignee) mentre compone forti dipinti di figura, confluiti in gran parte nella collezione milanese Boschi-Di Stefano, prima di approdare alle ricerche informali, tra le più precoci nel panorama italiano. Del ’50 è una personale milanese al San Fedele e lungo il decennio presenzia premiato ai maggiori concorsi. Nel ’56 espone alla rassegna dei pittori italiani al Museum Morsbroich di Leverkusen. Si lega alla Galleria del Milione esponendovi nel 1956, 1958 e 1966. Nel 1957 si reca a Parigi, ed è presente in rassegne di gruppo alla galleria Marlborough di Londra, a Roma alla Rome-New York Foundation, alla Columbia University di New York. Nel 1958 è invitato da Michel Tapié al festival di Osaka, espone Pittsburg International Exhibition, alla rassegna Art au XX siècle a Charleroi e alla Biennale di Venezia dove avrà una sala personale nel ’60. È presente alle Triennali di Milano, alle Quadriennali romane del 1959 e 1965. Nel ’62 espone alla VI Biennale di San Paolo del Brasile; nel ’64 alla mostra Pittura a Milano 1945-1964 a Palazzo Reale. Alla fine del decennio si sovrappongono alle masse cromatiche sinopie di forme. È presente nel 1973 a Pittura in Lombardia 1945-1973 alla Villa Reale di Monza. Numerose le personali in gallerie private, segnatamente alle Ore di Milano, al Mosaico di Chiasso, alla Steccata di Parma e alla Nuova Pesa di Roma. Tra le molte e importanti rassegne postume, citiamo le mostre della Collezione Boschi-Di Stefano a Milano nel 1974 e 1997, a Monza la rassegna Chighine-Meloni-Morlotti a cura G.Mascherpa e A.Montrasio alla Galleria Civica nel 1979 e la selezione di dipinti proposti all’edizione della mostra nazionale Città di Monza alla Villa Reale nel 1986 da P. Biscottini e A. Montrasio. Tra le rassegne più recenti si ricorda quella curata da E. Longari a Tenero nel 1991, quella milanese, a cura di E. Pontiggia, alle Stelline nel 1997, e quella a Palazzo Leone da Perego a Legnato, curata da F. Arensi. Fedele alla sua ricerca, Chighine realizza un corpus di dipinti informali dalla splendida materia, stesa con forza e accuratezza, incisa dal legno del pennello con diverse modalità nei diversi momenti del suo lavoro che risulta globalmente di grande coerenza ed eleganza formale. Ha continuato a coltivare negli anni l’incisione producendo diverse cartelle di grafica: la prima fu edita da Einaudi nel 1947.
Mario D’Adda
Nasce a Milano nel 1903 e muore , nella sua casa di P.zza Statuto n° 4, nel 1976. Pur avendo interamente dedicato alla pittura gli ultimi vent’anni della propria vita, ha avuto una attività espositiva quasi inesistente ( in vita due sole mostre negli anni ’50, una a Roma e una a Parigi ). Postume sono state realizzate alla Galleria Salzano tre mostre, nel 1983, 1989, 1991. A qualche anno dalla sua morte la vedova ha realizzato una monografia curata da Luigi Carluccio che ne aveva riconosciuto la grandezza.
Tancredi Parmeggiani
Nasce a Feltre (BL), il 25 settembre 1927. Studia all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove nel 1946 stringe amicizia con Emilio Vedova. Nel 1947 compie un viaggio a Parigi e nei due anni successivi divide il suo tempo tra Feltre e a Venezia, dove nel 1949 tiene la sua prima personale alla Galleria Sandri. Trasferitosi a Roma nel 1950, si lega al gruppo Age d’Or, che organizza esposizioni e pubblicazioni dell’avanguardia internazionale.
Nel 1951 partecipa a una mostra di arte astratta italiana alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma; lo stesso anno si stabilisce a Venezia, dove avviene l’incontro con Peggy Guggenheim, che gli fornisce uno studio e nel 1954 gli organizza una mostra nel suo palazzo. Nel 1952 a Venezia gli viene assegnato il Premio Graziano per la pittura e nello stesso anno, insieme con altri artisti, sottoscrive il manifesto del Movimento Spaziale, il gruppo fondato da Lucio Fontana intorno al 1947 a Milano, che propugnava una nuova arte “spaziale”, consona all’era postbellica.
Tancredi espone in personali alla Galleria del Cavallino di Venezia nel 1952, 1953, 1956 e 1959, e alla Galleria del Naviglio di Milano nel 1953. Nel 1954 partecipa con Jackson Pollock, Wols, Georges Mathieu e altri alla mostra Tendances Actuelles alla Kunsthalle Bern. Nel 1955, espone in una collettiva alla Galerie Stadler di Parigi, città che l’artista aveva visitato nello stesso anno. Nel 1958 tiene delle personali alla Saidenberg Gallery di New York e all’Hanover Gallery di Londra, e partecipa al Carnegie International di Pittsburgh. Si trasferisce a Milano nel 1959, dove espone diverse volte alla Galleria dell’Ariete; sempre nel 1959 si reca ancora a Parigi, e viaggia in Norvegia nel 1960; in quest’anno è presente alla mostra Anti-Procès alla Galleria del Canale di Venezia, dove gli vengono dedicate anche due personali, nel 1960 e nel 1962. Nel 1962 riceve il Premio Marzotto, a Valdagno, e nel 1964 espone alla Biennale di Venezia. Muore suicida a Roma il 27 settembre 1964.
Sergio Romiti
Nasce a Bologna nel 1928; già nel 1946 si dedica alla pittura. Il suo ingresso nella vita artistica risale al 1947, mentre il suo definitivo battesimo artistico al 1948 quando espone alla Prima Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea a Bologna. Mostra importante perché vi partecipano tutti gli artisti della generazione di mezzo (Birolli, Guttuso, Cassinari, Corpora, Afro, Santomaso, Vedova, Mirko, Fazzini, Minguzzi) e ancora di più perché serve da pretesto a una clamorosa presa di posizione di Togliatti contro l’arte moderna quale tipo di arte che non corrisponde all’ideale di realismo socialista. Dopo tale stroncatura gli artisti si dividono: chi vuole salvare il salvabile -come Guttuso- e chi vuole arrogarsi il diritto – come il Gruppo Forma- di essere iscritti al partito ma di esprimersi in modo nuovo. Romiti non prende posizione, non avendo pretese né realiste né astrattiste, né essendo iscritto al partito. L’anno seguente espone alla Galleria del Secolo di Roma con Vacchi e Barnabè. Rimane alla ribalta della scena artistica italiana – partecipando a tutte le Biennali d’Arte Contemporanea di Venezia degli anni ’50- fino al 1965, anno in cui decide di smettere di dipingere. Non riuscirà a mantenersi coerente col suo intento e riprenderà con produzioni numericamente inferiori, portando alle estreme conseguenze il suo percorso artistico già profilato e concettualmente concluso nel 1965. Senza essersi mai allontanato alla sua città natale se non brevemente e aver condotto una vita appartata e solitaria, decide di porre termine alla sua vita il 12 marzo 2000.
Piero Simondo
Nasce a Cosio d’Arroscia (Imperia) nel 1928. Allievo di Felice Casorati e di Filippo Scroppo all’Accademia Albertina di Torino, si laurea in Filosofia nell’ateneo torinese. I primi lavori sono ceramiche astratte che espone nel ’52 ad Alba, dove si trasferisce, ospitato da Pinot Gallizio, che introduce alla pittura. Nel settembre del 1955 fonda ad Alba con Asger Jorn e Pinot Gallizio il Laboratorio di esperienze immaginiste del Mouvement Internationale pour une Bauhaus Imaginiste (M.I.B.I.) e pubblica il Bollettino del movimento, “Eristica”. Una mostra ad Albisola (estate ’55) aveva permesso l’incontro con Asger Jorn. Nell’estate 1956 (2-9 settembre) Simondo organizza, sempre ad Alba, con Jorn, Gallizio ed Elena Verrone (che sposa l’anno seguente), il Primo Congresso mondiale degli Artisti liberi sul tema Le arti libere e le attività industriali. Nell’estate del 1957 in occasione di una vacanza nella sua casa di Cosio d’Arroscia viene fondata l’Internazionale Situazionista, da cui esce nel gennaio successivo con Elena Verrone e Walter Olmo, in polemica con Debord. Nel 1962 fonda a Torino, con un gruppo di operai e intellettuali, il CIRA (Centro Internazionale per un Istituto di Ricerche Artistiche) (1962-1967) con il proposito di recuperare l’esperienza del Laboratorio di Alba e con cui – fra l’altro – progetta installazioni sui temi dell’alienazione e della natura dei media. Nel 1972 entra all’Università di Torino (e vi resterà sino al 1996) per occuparsi dei laboratori di “attività sperimentali” presso l’Istituto di Pedagogia. Qui insegna poi Metodologia e didattica degli audiovisivi.
La sua attività artistica inizia negli anni ’50 con i Monotipi. All’inizio del decennio successivo inaugura la sequenza delle Topologie, di forte impatto oggettuale. Nel 1968 dà vita ai Quadri-manifesto, cui fanno seguito, nel tempo, le Ipo-pitture, i Nitro-raschiati e altri cicli pittorici improntati alla sperimentazione di nuove tecniche e materiali. Negli anni ’90, quando “l’angoscia dell’avanguardia si è attenuata”, Simondo torna ad usare i pennelli e i pastelli, producendo alcuni grandi polittici. Nell’ultimo decennio si dedica in prevalenza a lavori su carta nei quali rivisita con freschezza inventiva i procedimenti già utilizzati cinquant’anni prima. Come Serge Stauffer, Allan Kaprow, Nam June Paik e Asger Jorn, Piero Simondo può essere considerato un pioniere dell’arte come ricerca.
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