Collettiva di artisti del Novecento: opere scelte della Fondazione
Dal 4 febbraio al 29 marzo 2014 sono in esposizione allo Spazio Don Chisciotte, in una collettiva di artisti del Novecento da Mario Calandri a Jean Pierre Velly in cui la pittura novecentesca dialoga con la scultura contemporanea.
Opere di Luigi Bartolini, Mario Calandri (a cento anni dalla nascita), Italo Cremona, Gianfranco Ferroni, Pinot Gallizio (in occasione del cinquantenario della sua scomparsa), Albino Galvano, Mario Lattes, Fausto Melotti, Sergio Saroni (a ottant’anni dalla nascita), Francesco Tabusso e Jean-Pierre Velly offrono al pubblico un interessante percorso, accanto alle sculture dei contemporanei Riccardo Cordero e Raffaele Mondazzi.
Orario: martedì-sabato ore 10.30-12.30 e ore 15.30-19.30.
La mostra presenta una ventina di opere di proprietà della Fondazione Bottari Lattes che per la prima volta espone al pubblico una selezione della sua collezione.
In mostra incisioni, olii su tela, acquerelli, tempere e tecniche miste acquistate nel corso degli anni seguendo il gusto e la tradizione del collezionismo colto di Mario Lattes, pittore, scrittore ed editore (scomparso nel 2001), a cui la Fondazione è dedicata.
Tra queste l’importante dipinto di grandi dimensioni di Pinot Gallizio (Senza titolo, 1963), caratterizzato dalla potenza del colore materico e dall’impetuosa energia sprigionata dai grandi tratti a spirale. I visitatori lo potranno ammirare in contemporanea con La Notte barbara (1962), esposta alla Gam di Torino con altre opere dell’inventore della pittura industriale. «Direi che la fiducia che io ho nel gesto spontaneo si può rilevare da queste tele (del 1963, n.d.r), in parte non finite, che danno l’impressione quasi di danzare, di penetrare nell’aria. Questo lasciarsi andare o lasciarsi venire, questo distribuirsi inutilmente nell’aria». (Pinot Gallizio, documentario Rai dedicato all’artista, a cura di Carla Lonzi, estate 1963).
Oltre all’opera di Fausto Melotti, per la prima volta Spazio Don Chisciotte ospiterà sculture di artisti contemporanei: un bronzo di Riccardo Cordero e una terracotta di Raffaele Mondazzi.
Opere scelte della Fondazione Mario Lattes
Luigi Bartolini (1892-1963), pittore, incisore, scrittore e poeta. Nato a Cupramontana (Ancona), è considerato tra i maggiori incisori italiani del Novecento, insieme con Giorgio Morandi e Giuseppe Viviani. Il suo stile artistico si riallaccia alla tradizione naturalista italiana dell’Ottocento, ispirandosi anche alle stampe di Rembrandt, Francisco Goya, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori e degli incisori del Settecento italiano. Nel corso della carriera sviluppa diverse maniere definite maniera bionda, nera e lineare, con le quali realizza numerose acqueforti, dedicate ai paesaggi delle Marche e della Sicilia, e le serie Gli insetti, Le farfalle, Gli uccelli e Scene di caccia.
Mario Calandri (1914-1993), pittore e incisore, compie i primi studi artistici tra Firenze e Torino, dove frequenta l’Accademia di Belle Arti, diplomandosi in pittura con Cesare Maggi. È considerato uno dei massimi incisori del XX secolo, tra i migliori artisti specializzati nella grafica. È assistente del maestro Marcello Boglione, responsabile, dal 1934, della rinata Scuola di Tecniche dell’Incisione dell’Albertina, cui gli succede nel 1957. Nel 1963 ottiene la cattedra nell’istituzione torinese, dove rimane fino al 1977, segnando con il suo magistero intere generazioni di incisori. Nel 1940 esordisce alla Biennale di Venezia, per poi tornare nel 1950, nel 1952 e nel 1958 con una personale. Numerose le partecipazioni alle più significative rassegne nazionali e internazionali della grafica incisa. «Personalità appartata e schiva – spiega Vincenzo Gatti – Calandri è ben attento alla contemporaneità: non ha bisogno di viaggi impegnativi per cogliere le sollecitazioni che gli vengono dal mondo dell’arte, ma sa filtrare – con una libertà d’invenzione che ha pochi paragoni – gli stimoli più fecondi per la sua arte. Per questo le sue opere, nella globalità dei linguaggi, stupiscono per l’unione di sentimento e tecnica, moti e forme, modernità e tradizione».
Riccardo Cordero (1942), nato ad Alba, si diploma in scultura presso l’Accademia Albertina di Torino, dove sarà poi titolare della stessa cattedra fino al 2000. Dal 1960 partecipa a importanti mostre d’arte nazionali e internazionali, tra le quali: Biennale di Mentone (Francia, 1972); IV e V Biennale di Scultura a Montecarlo (Francia, 1993 e 1995); XXIV Biennale di Scultura (Gubbio, 2006). Tra le mostre personali: Dal progetto all’opera alla Galleria O’ Quai des Arts (Vevey, Svizzera, 2004); Riccardo Cordero, opere 1960-2006 (Sala Bolaffi, Torino, 2006; Museo Universidad Alicante, Spagna, 2007). Nel 1978 partecipa con una personale alla XLIX Biennale di Venezia. Nel 1997 la scultura in bronzo Disarticolare un cerchio (1993-96) viene collocata presso la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, acquisita dalla Fondazione De Fornaris. Nel 2005 Cordero partecipa alla XIV Quadriennale di Roma. Sempre nel 2005 esegue la scultura Chakra in acciaio corten per la Città di Torino, collocata in piazza Galimberti, e Meteora in acciaio inox per lo Shangai Sculpture Park. Nel 2006 realizza la scultura di grandi dimensioni Cometa in acciaio inox per il Memory Park di Taiwan.
Italo Cremona (1905-1979), pittore e scrittore. Nato a Cozzo Lomellina (Pavia), compie a Torino gli studi classici e universitari. La sua carriera espositiva è caratterizzata da un’intensa attività fin dal 1928. Dal 1946 al 1955 insegna Decorazione all’Accademia di Torino, esponendo nel frattempo nelle mostre d’arte italiana a Vienna (1949-50) e in Germania (1950-51). Alla Biennale del 1950 il dipinto Inondazione di Torino viene acquistato dal Ministero della Pubblica Istruzione. Partecipa al Premio Michetti, al Premio La Spezia e ha una sala di suoi disegni alla Biennale del 1954. Tra il 1959 e il 1960 collabora con Maccari all’almanacco «L’Antipatico». Dal 1966 è Accademico di San Luca. Artista poliedrico, le sue opere si caratterizzano per una singolare fusione di elementi metafisici e di effetti surrealisti (Capriccio, 1938), cui fa seguito una personale interpretazione del realismo magico. Tra i suoi soggetti: nudi di donna, demoni, figure animalesche, danze macabre, forme che si plasmano e si ricreano, ma anche limpidi ritratti e paesaggi di Torino e del quartiere San Salvario.
Gianfranco Ferroni (1927-2001), pittore, nato a Livorno, sul finire degli anni Quaranta frequenta l’ambiente di Brera. In seguito si lega artisticamente ai pittori del Realismo esistenziale, rappresentato da Giuseppe Guerreschi, Bepi Romagnoni, Mino Ceretti, Giuseppe Banchieri, Giuseppe Martinelli, Floriano Bodini e Tino Vaglieri, che operano intorno a metà degli anni Cinquanta con richiami alla filosofia di Paul Sartre. Diviene un esponente di punta della Nuova figurazione, filone artistico che fa tesoro della lezione pittorica dell’inglese Francis Bacon. Elabora un linguaggio con chiari riferimenti alla Pop Art. Nel 1950, 1958, 1964 e 1968 è invitato alla Biennale di Venezia (dove ritorna nel 1982), nel 1957 alla mostra Italia-Francia, nel 1959 e nel 1965 alla Quadriennale di Roma (vi ritorna nel 1972), nel 1959 e nel 1969 alla Biennale del Mediterraneo di Alessandria d’Egitto. Nel 1964 è la Biennale di Tokyo a consacrarne lo spessore da artista internazionale. Contemporaneamente all’attività pittorica porta avanti quella di incisore, iniziata nel 1957. Alla fine degli anni Settanta con Sandro Luporini, Giorgio Tonelli e altri artisti forma il Gruppo della Metacosa, con cui inizia una nuova e fertile stagione pittorica. Le preoccupazioni e angosce esistenziali che riesce a far convergere nei suoi quadri si arricchiscono di echi iperrealistici.
Pinot Gallizio (1902-1964), pittore, situazionista e inventore della pittura industriale. Dopo essere entrato in contatto con Asger Jorn fonda ad Alba nel 1956 il Primo laboratorio sperimentale per una Bauhaus immaginista e il Primo congresso mondiale degli artisti liberi cui partecipano, tra gli altri, Ettore Sottsass, Piero Simondo, Enrico Baj, Gil Wolman ed Elena Verrone. Da quel momento la sua attività sarà incessante. Nel 1957 a Cosio di Arroscia partecipa alla fondazione dell’Internazionale situazionista, che nasce dalla fusione del Movimento lettrista con il Movimento internazionale per una Bauhaus immaginista, insieme con Guy Debord, Michèle Bernstein, Asger Jorn, Constant Nieuwenhuys, Walter Olmo, Piero Simondo, Rulph Rumney. Nel 1958 avvia la produzione della pittura industriale che espone a Torino: dodici metri di pittura a olio su tela, quattordici metri di pittura a resina su tela, settanta metri di pittura su telina. Esposizioni successive a Milano e Monaco di Baviera e nell’aprile del 1959 da René Drouin a Parigi, dove realizza la Caverna dell’antimateria, una delle prime opere ambientali. Con la sua pittura industriale Gallizio porta alle estreme conseguenze il gesto libero, caratteristico dell’arte informale. La vendita a metro della tela dipinta avrebbe voluto decretare la fine dell’arte moderna come valore, invece aprì la strada a una fase nuova e alle esperienze di Piero Manzoni, Enrico Castellani e Agostino Bonalumi: la sua figura rimane di primaria importanza per la presa di coscienza di un superamento dell’informale e di un’apertura verso le successive tendenze del Novecento. Sue opere si trovano in numerosi musei fra cui: Stedeljik Museum di Amsterdam; Centre Georges Pompidou di Parigi, Museo Reina Sofia di Madrid; Museum Jorn di Silkeborg; Gam di Torino; Neue Galerie di Berlino.
Albino Galvano (1907-1990), pittore, storico dell’arte e filosofo. Nato a Torino, è allievo e poi assistente di Felice Casorati presso l’Accademia Albertina di Torino. Insieme con Franco Antonicelli nel 1945 fonda l’Unione Culturale di Torino che raccoglie intellettuali e artisti quali Norberto Bobbio, Vittorio Foa, Ludovico Geymonat, Francesco Menzio, Massimo Mila. Nel 1947 pubblica il primo numero della rivista Tendenza: nell’articolo programmatico La pittura, lo spirito, il sangue, mette a fuoco le coordinate teoriche della sua poetica, fondata sul richiamo al vitalismo e all’immoralismo di Friedrich Nietzsche. Tra il 1945 e il 1949 nella sua pittura si apre una fase espressionista (semplificazione dei contorni lineari, cromatismo bidimensionale). Gli sviluppi di questa ricerca lo conducono all’astrazione e a costituire con Annibale Biglione, Adriano Parisot e Filippo Scroppo la sezione torinese del Movimento arte concreta (Mac), di cui faceva parte anche Carol Rama. I suoi obiettivi sono la salvaguardia dell’indipendenza della ricerca artistica e il rinnovamento dei mezzi linguistici. Molte sue composizioni astratte sono segnate da forti valenze religiose e metafisiche. Alla metà degli anni Cinquanta si apre a ricerche segniche e gestuali di impronta informale. Alla fine del decennio, in una serie di dipinti dedicati all’iris e concepiti come omaggio a Stéphane Mallarmé, avvia il recupero della figuratività.
Mario Lattes (1923-2001), pittore, scrittore ed editore, nato a Torino, ha compiuto le prime esperienze nei campi dell’arte e della cultura nel capoluogo piemontese. La sua pittura, dopo un iniziale periodo informale, è sempre stata figurativa, con valenze visionarie e fantastiche, tale da evocare illustri discendenze, da Gustave Moreau a Odilon Redon a James Ensor. La pittura, le incisioni e i romanzi sono legati da un forte filo di comunanza, talvolta anche nella scelta di soggetti identici, trasfigurati dalla diversità dei mezzi espressivi. Ebreo laico, uomo solitario e complesso, la sua arte risente delle vicende e della psicologia di questo popolo: umorismo amaro e sarcastico, pessimismo e lontananza. Torino, però, è sempre stata la sua unica e vera città. Dopo la Seconda guerra mondiale si dedica alla casa editrice torinese Lattes, fondata nel 1893 dal nonno Simone. Del 1947 è la sua prima mostra alla galleria La Bussola di Torino, a testimonianza delle maturate esperienze artistiche. Negli anni Cinquanta allestisce personali a Torino, Roma, Milano e Firenze e partecipa con successo a due edizioni della Biennale di Venezia. Segue una regolare attività espositiva in tutta Italia. A Torino molte gallerie ospitano sue personali tra gli anni Cinquanta e Novanta (Galatea, Viotti, Arte Antica, I Portici, Davico, Tuttagrafica, Arte Club, L’Acquaforte). Non mancano sue importanti presenze anche a Milano (galleria il Naviglio, il Milione, galleria 32), a Firenze (galleria La Strozzina) e a Bologna (galleria Forni). Nel 1953 fonda la rivista Galleria che dall’anno seguente, con il titolo Questioni, diventa voce influente del mondo culturale piemontese e non solo. Vi partecipano intellettuali italiani e stranieri come Nicola Abbagnano, Albino Galvano e Theodor Adorno.
Fausto Melotti (1901-1986), scultore e pittore. Nato a Rovereto, a Firenze entra in contatto con letterati e artisti d’avanguardia e ha la possibilità di osservare da vicino le opere degli artisti del Rinascimento fiorentino quali Giotto, Simone Martini, Botticelli, Donatello e Michelangelo. Essenziali sono i suoi rapporti con la città natale e con il fervente panorama culturale che la animava in quegli anni: lì vivevano Fortunato Depero, l’architetto Gino Pollini – tra i fondatori del razionalismo italiano grazie al Gruppo 7 –, Riccardo Zandonai e altri. Dopo vari studi musicali si dedica alla scultura, studiando a Torino nello studio di Pietro Canonica, poi all’Accademia di Brera di Milano, sotto la guida dello scultore milanese Adolfo Wildt. Il suo stile muta negli anni seguendo sempre una sua personale ricerca, tesa ad articolare lo spazio secondo ritmi dal sapore musicale. Anche le sue sculture più tradizionali legate a Novecento sono piene di quel suo amore per la poesia dei materiali. Evidenti i legami con l’arte metafisica, il razionalismo e gli artisti legati alla galleria Il Milione di Milano, come Lucio Fontana. La sua scultura avrà sempre più un carattere mentale e subirà una sintesi, nei modi e nei materiali: ceramica o gesso, teatrini polimaterici, leggerissime sculture in acciaio saranno intrisi di una vena surreale e ironica.
Raffaele Mondazzi (1953), scultore di opere monumentali, busti e terrecotte, è nato a Mercato Saraceno (Forlì). Si è trasferito a Torino dal 1960, dove ha frequentato l’Accademia Albertina (corso di scultura di Sandro Cherchi). Dal 1975 è assistente di Scultura presso lo stesso istituto. Negli anni 1982-83 ha tenuto un corso di restauro di scultura antica presso la Missione Archeologica Italiana di Hyerapolis di Frigia (Turchia) e ai Musei Archeologici di Instanbul e Smirne. Ha esposto in mostre collettive e personali, tra cui quelle negli Istituti Italiani di Cultura di Istanbul e Bucarest. Ha eseguito sculture monumentali di committenza pubblica a Gesico, Alassio, Pietra Ligure, Gabiano Monferrato, Ventimiglia, Chiusanico, Ormea, Asti, al Colle dell’Agnello, Carrù, Villanova Mondovì, Saint-Vincent. A Cuneo realizza per l’Amministrazione Provinciale, con Massimiliano Apicella, il monumento-fontana Allegoria dei fiumi Gesso e Stura,in marmo nero di Ormea, che si trova alla rotonda di piazza Torino. Ad Asti esegue la copia della statua quattrocentesca di San Secondo posta sulla facciata della chiesa dedicata al santo ed il ritratto bronzeo di Giovanni Pastrone nel Teatro Alfieri. Sue opere sono in collezioni private a Torino, Asti, Stresa, Pessione, Mondovì, Cuneo. Suo l’ambone in pietre vulcaniche per la chiesa parrocchiale di S. Joao Batista a Porto Novo (Isola di Santo Antao, Rep. di Capo Verde).
Sergio Saroni (1934-1991) nasce a Torino, dove frequenta l’Accademia Albertina. Partecipa alle rassegne Francia-Italia nel 1955, 1957 e 1960 ed espone alla Biennale di Venezia nel 1956, nel 1958 e nel 1962. Nel 1958 presenta quindici acquerelli al Brooklyn Museum of Modern Art di New York ed espone al Carnegie Institut of Pittisburgh. In questi anni si indirizza verso la nuova figurazione che sta maturando tra Torino, Milano, Roma. Nell’ambito di una ricerca indirizzata verso una più lucida oggettività dell’immagine, assume maggiore importanza la ricerca incisoria, che l’artista perseguirà con costanza e determinazione creativa per tutta la vita. Si avvia intanto l’attività didattica, prima al Liceo Artistico di Torino, poi all’Accademia Albertina di Belle Arti, di cui sarà direttore dal 1978 per tredici anni. A lui si deve il rinnovamento dell’Istituzione e l’attenzione verso le istanze contemporanee, la promozione di prestigiose mostre, la riapertura della Pinacoteca. Poche e meditatissime occasioni espositive caratterizzano l’ultimo decennio della sua attività, tra cui le personali alla galleria Documenta di Torino nel 198 e 19901, a Milano nel 1983 alla Compagnia del Disegno.
Francesco Tabusso (1930-2012), nato a Sesto San Giovanni, frequenta lo studio di Felice Casorati fino al 1954. Nel 1953 fonda insieme ad Aimone, Francesco Casorati, Chessa, Niotti, la rivista Orsa Minore, dove si intrecciano dibattiti sulle arti figurative e sugli sviluppi delle neoavanguardie. Sono di questi anni le prime affermazioni nel panorama artistico di Torino. Nel 1954 partecipa alla Biennale di Venezia, dove presenta Comizio, Festa campestre e Albero caduto. Sarà nuovamente invitato nel 1956, nel 1958 e nel 1966 con una sala personale. Trentenne, Tabusso è pittore affermato, con inviti alle più prestigiose rassegne internazionali, tra cui Bruxelles, New York, Mosca, Alessandria d’Egitto. Del 1963 è la personale alla Galleria milanese di Ettore Gian Ferrari, con cui inizia un fecondo rapporto di lavoro e di amicizia. Da quest’anno insegna Discipline Pittoriche al Liceo Artistico dell’Accademia di Brera a Bergamo, e in seguito, fino al 1984, al Liceo Artistico dell’Accademia Albertina di Torino. Qui, nel 1972, inizia la sua collaborazione con la galleria Davico di Silvano Gherlone. Nel 1975 realizza la Grande Pala Absidale Il Cantico delle Creature per la Chiesa di San Francesco d’Assisi a Milano, progettata da Giò Ponti, opera completata successivamente con quattro trittici dedicati ai Fioretti di San Francesco. Poi la mostra Hommage à Grünewald, a Colmar, Torino e Milano. Nel 1983 la Mostra Antologica a Palazzo Robellini di Acqui Terme, la prima di tante: nel 1991 ad Asti, in occasione della realizzazione del Palio; nel 1997 al Palazzo Salmatoris, di Cherasco; nel 1998 alla Sala Bolaffi di Torino; nel 2000 al Centre Saint Bènin di Aosta; nel 2002 al Complesso Monumentale di S. Michele a Ripa Grande, a Roma.
Jean-Pierre Velly (1943-1990), incisore, pittore e disegnatore francese, nato ad Audierne. Dipinge e disegna fin dall’infanzia: le prime opere conosciute risalgono agli anni 1950 (vedute del porto di Audierne, barche e chiese). Scopre l’incisione e si avvia allo studio e alla pratica di questa tecnica. Le sue incisioni sono spesso sia all’acquaforte sia al bulino. Conosce François Lunven, Philippe Mohlitz, Hansjurg Brunner. Si trasferisce alla Villa Medici, diretta da Balthus, dove esegue circa trentacinque incisioni su rame con un’impronta visionaria, apocalittica ed ermetica. Inizia a disegnare a punta d’argento, tecnica poco consueta, omaggio ai suoi maestri ideali del Rinascimento. Si dedica alla pittura soprattutto dal 1976 e nel 1978 presenta alla Galleria Don Chisciotte di Roma i suoi ultimi lavori in omaggio al poeta maledetto bretoneTristan Corbière (1845-1875): acquerelli e disegni sul tema della morte vista come passaggio. Nel 1980, sempre alla Galleria Don Chisciotte, si inaugura il Bestiaire Perdu, mostra composta da opere su carta di animali poco amati dall’uomo (topi, insetti, civette, rane, ecc.), con presentazione di Alberto Moravia e Jean Leymarie.
Negli anni Ottanta la produzione calcografica diminuisce a vantaggio del disegno, dell’acquerello e della pittura a olio (con soggetti floreali, alberi, paesaggi, ritratti e nudi).
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