L’arte del fotogiornalismo con Merisio e Dondero
Secondo appuntamento con la fotografia alla Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba. Dopo il confronto tra Franco Fontana e Arno Minkkinen, è la volta di due tra i più grandi protagonisti del fotogiornalismo italiano: Mario Dondero e Pepi Merisio Dalla fotografia d’arte alla fotografia testimonianza.
Da anni si discute sulla morte vera o presunta del Fotogiornalismo, del rapporto tra immagine e informazione, del ruolo del reporter nell’era digitale e dell’evoluzione tecnologica che oggi vede accanto alla fotocamera, la possibilità di produrre immagini con il telefonino o altri supporti informatici. E’ per mettere al centro la fotografia e riflettere su queste tematiche che la Fondazione Bottari Lattes ha voluto realizzare, oggi, una mostra apparentemente datata, ma che nella realtà esalta due grandi personalità del mondo dell’immagine, due figure che pur nella loro diversità di percorso, rappresentano la forza che la fotografia ha in sé di raccontare al di là della parola.
La mostra Pepi Merisio / Mario Dondero. Diario Fotografico, a cura di Daniela Trunfio, si tiene dal 22 settembre al 28 ottobre 2012 (Inaugurazione: 22 settembre ore 18 foto inaugurazione). Orario: da lunedì a venerdì 14.30 – 17 / sabato e domenica 14.30 – 18.30.
Il percorso fotografico di Pepi Merisio e di Mario Dondero ha in comune un periodo storico: gli anni Cinquanta / Sessanta e una testata, quella di «Epoca», per la quale hanno lavorato entrambi. Ma i punti in comune si esauriscono qui. Le scelte di Merisio si collocano in un preciso orizzonte: quello della cultura cattolica fatta di fede, tradizione, conservazione delle abitudini antiche un po’ spiazzate, alla fine degli anni ’60 dall’avanzare del nuovo. In quel nuovo invece si immerge totalmente Mario Dondero, nomade curioso dei cambiamenti, frequentatore del mondo intellettuale, e al quale la militanza partigiana nella Brigata Cesare Battisti della Val d’Ossola, ha insegnato “che doveva essere antifascista per sempre, e battersi contro gli oppressori, gli sfruttatori, i criminali”. Il microcosmo di Merisio è la cultura contadina e la tradizione popolare della nostra terra che costituiscono il corpus fotografico dei 28 volumi della collana Italia della nostra gente e gli 11 sulle Regioni Italiane, ma anche tutte le indagini che si soffermano su luoghi, mestieri e ambienti che Merisio documenta non solo con l’occhio attento del fotogiornalista, ma anche con quello dell’antropologo che teme la scomparsa di quanto rimane della civiltà contadina.
Il macrocosmo di Dondero va dal Maggio Francese (si stabilisce a Parigi nel 52), alla Grecia dei Colonnelli, alla guerre di liberazione in Africa, alla Berlino pre e post caduta del Muro e poi ancora Russia, Spagna, Portogallo, Cuba nell’attenta osservazione della fotografia militante.
Pepi Merisio
Gli inizi di Pepi Merisio affondano nell’amatorial: la sua frequentazione del Circolo Fotografico Milanese, alcuni premi poi, nel 1956, la collaborazione con il Touring Club Italiano e con importanti riviste.
Mario Dondero
Mario Dondero invece scopre la fotografia come prezioso e necessario supporto alla sua pratica di giornalista di “nera” a «Milano Sera» (anni 50), per poi iniziare a vendere fotografia al settimanale «Le Ore» e abbandonare la scrittura per collaborare alle più importanti testate tra cui «Il Manifesto», «L’Unità», «L’Avanti», «Illustrazione Italiana», «Newsweek» e molte altre.
La mostra
La mostra è costituita da una sessantina di scatti in bianco e nero. Nella sala al primo piano i vintage di Pepi Merisio e al secondo piano una serie dei più noti ritratti di Mario Dondero.
Fra le immagini in mostra, di rilievo, il ritratto di Paolo VI (Merisio 1964) dal servizio Una Giornata con il Papa e quella celebre fotografia di Mario Dondero che ritrae un gruppo di grandi scrittori, e che a detta di Alain Robbe Grillet , fu all’origine della nascita del movimento che prese il nome di Noveau Roman.
Ma qui non ci interessa tanto ragionare sulle “icone” che rendono celebri, con il rischio di penalizzare una vita dedicata alla fotografia. Qui vogliamo esaltare le personalità di due grandi che a loro modo hanno percorso strade, visitato mondi, incontrato persone (contadini e intellettuali poco importa) utilizzando uno strumento visivo per scrivere indimenticabili pagine di storia non solo della fotografia.
Per godere appieno della mostra bisogna farsi osservatori attenti dei dettagli contenuti nei reportage di Merisio, come degli sguardi complici dei ritratti di Dondero, e considerare come la lentezza , caratteristica imprescindibile che entrambi hanno nel loro DNA, sia la sola in grado di trasformare un singolo scatto in un’immagine “oltre l’istante”, consegnata a noi contemporanei per riflettere sul futuro.
La loro slow photography è un’attitudine mentale, un modo di essere nella fotografia come nella vita. Il loro punto di osservazione è ravvicinato e attento, frutto di conoscenza e frequentazione. La camera è un taccuino prezioso per sé e per gli altri. Una lezione di grande fotogiornalismo secondo il quale si “fotografa solo ciò che si conosce”.
In una riflessione di Dondero probabilmente sta il compendio di una vita vissuta per entrambi gli artisti nella ricerca, attraverso gli scatti, della verità storica: «Ho sempre cercato di essere il più semplice e lineare possibile. E poi non si deve perdere di vista la verità. Mi infastidiscono le costruzioni artificiose. Malgrado tutto, esiste un’autenticità che il fotografo può restituire. Ma occorre essere leale, franco, generoso».
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