Pensare Caravaggio: 15 artisti per Michelangelo Merisi
15 artisti di oggi per ricordare a Monforte d’Alba dall’ 11 dicembre al 30 gennaio 2010 un grande artista di ieri, Michelangelo Merisi, a tutti noto come il Caravaggio. Non è un qualsiasi estemporaneo “omaggio a Caravaggio” quello che Caterina Bottari Lattes ha voluto per l’edizione invernale del Festival Cambi di Stagione nella sua Fondazione.
L’obiettivo era quello di verificare la persistenza di “sapori caravaggeschi” nell’opera di grandi artisti di oggi nell’ anno dedicato al quarto centenario della morte del Caravaggio, genio lombardo, indiscusso maestro della luce.
Vincenzo Gatti, curatore dell’esposizione, ha individuato 15 artisti: non gli unici, evidentemente, certo quelli che, a suo parere, nell’ambito della loro ricerca si sono maggiormente richiamati al grande pittore in maniera diretta oppure, al di là dei linguaggi, per matrice ideale: Aimone, Chessa, Ferroni, Francese, Garel, Guccione, Mattioli, Morlotti, Ruggeri, Saroni, Scalco, Soffiantino, Tommasi, Ferroni, Ventrone e Vespignani.
Le loro opere si potranno ammirare a Monforte d’Alba dall’11 dicembre sino al 30 gennaio, in una mostra che dialogherà con le tele di Mario Lattes, stabilmente esposte, e con la musica di Cambi di Stagione 2010, festival musicale curato da Nicola Campogrande.
Sono opere in cui, a giudizio di Franco Fanelli, autore di un saggio in catalogo, trova evidenza l’attrazione, a volte esplicitata, a volte sottintesa, esercitata da Caravaggio sugli artisti del ‘900.
Gli artisti scelti, nati tra il 1910 (Morlotti) e il 1945 (Garel), hanno vissuto, e vivono, in vario modo il dibattito culturale e artistico del loro tempo, e le opere presenti in mostra, alcune storiche, altre recentissime, lo dimostrano. Con Ennio Morlotti e Piero Ruggeri si evidenzia il versante informale, mentre la generazione legata alla figurazione degli anni ’60 del 1900 è rappresentata da Sergio Saroni, Gianfranco Ferroni, Piero Guccione, Renzo Vespignani, Franco Francese e Nino Aimone. Se Giacomo Soffiantino è autore di due intensi “d’après” che sono, in fondo, occasione per rimeditare le ragioni della propria pittura, altre citazioni caravaggesche, dirette o indirette, si ritrovano nelle opere di Carlo Mattioli, Riccardo Tommasi Ferroni e Luciano Ventrone. Mauro Chessa e Giorgio Scalco offrono poi differenti variazioni sui classici temi della “natura morta” e dell’ “interno con figura”, mentre Philippe Garel presenta una stimolante, attualissima riflessione su temi e modi della “grande pittura”.
Il progetto della mostra è nato su due fronti, quello della Fondazione Bottari Lattes e quello della Galleria Don Chisciotte di Roma, che attualmente ha in svolgimento la mostra Roma, 12 passi sulle orme di Caravaggio. Orari della mostra: dal lunedi al venerdi – dalle 14.30 alle 17.00, sabato e domenica dalle 15.30 alle 19.30.
Caravaggio
Nell’arte di Michelangelo Merisi (vero nome del Caravaggio; 1571-1610) trionfano il naturalismo e la rappresentazione della realtà quotidiana, resa attraverso i mezzi pittorici della luce, che irrompe sottolineando teatralmente i volumi dei corpi, e dell’ombra, a rimarcare fra l’altro il dramma quotidiano dell’esistenza.
Sin dal Seicento numerosi sono stati gli artisti italiani e d’oltralpe che si sono ispirati al Caravaggio, soprattutto nel forte realismo nel riprodurre le figure, spesso illuminate da luce violenta. Suggestioni caravaggesche si propagano fino all’Ottocento per raggiungere tutto il Novecento, attraversando il postmodernismo. Sono evidenti nella dimensione teatrale di alcuni lavori, nelle citazioni dirette di soggetti del Merisi, negli studi sullo spazio pittorico, nel materialismo naturalista e nell’elevazione a mito di moderni soggetti di natura morta.
Impressioni del curatore Vincenzo Gatti
«Coerentemente alla titolazione (Pensare Caravaggio) – spiega il curatore Vincenzo Gatti –, la mostra individua, in un percorso di mezzo secolo di pittura italiana (con l’unica eccezione per il francese Philippe Garel), un gruppo di artisti che, direttamente o per matrice ideale, interpretano il linguaggio caravaggesco. Questo può avvenire in chiara forma citazionista (Ferroni, Soffiantino, Mattioli, Tommasi Ferroni, Ventrone) oppure, anche in sede di linguaggio “informale” per dedica dichiarata: è il caso di Ruggeri che può essere assunto a riscontro di quanti, nelle loro opere, manifestano richiami caravaggeschi non certo per l’iconografia, ma per ragioni di luci, ombre, spazi».
Di Nino Aimone (Torino, 1932), spiega Vincenzo Gatti, la Figura su fondo verde del 1961 documenta l’interesse del pittore alla figurazione venata di umori grotteschi, ma sempre corroborata da intense valenze cromatiche e sostenuta da forti strutture disegnative, così come il Teschio del 2008 in forme neoespressioniste.
Le opere di Mauro Chessa (Torino, 1933) dipinte nel 2000 sono sontuose nature morte, vere e proprie vanitas, variazioni su un tema caro alla tradizione della grande pittura. Gianfranco Ferroni (Livorno, 1927 – Bergamo, 2001) nel suo Omaggio a Caravaggio (1991) rende essenziale e quasi astratta la scena della Vocazione di San Matteo caravaggesca, distillandone l’essenza e facendola unica protagonista.
Il realismo “epico e primordiale” (Francesco Porzio) di Franco Francese (Milano, 1920-1996) è ben documentato dalle due opere in mostra degli anni 1976 e 1988, mentre la pittura di Philippe Garel (Trèbeurden, 1945), che aggiorna alla sensibilità contemporanea il linguaggio dei maestri del passato, da Rembrandt a Caravaggio, è rappresentata da un intenso ritratto (1992) e da una scabra natura morta (1982).
Il grande quadro di Piero Guccione (Scicli, 1935) del 1963, continua a spiegare Gatti, evidenzia l’interesse per i maestri che si presentavano allora con nuove modalità per la figurazione, Bacon e Sutherland in particolare; Carlo Mattioli (Modena, 1911 – Parma, 1994) dichiara apertamente la citazione dal Cesto di frutta di Caravaggio (1967), ma ne raccoglie le spoglie, l’ombra, meditando sulla transitorietà delle cose.
La Collina (1959) di Ennio Morlotti (Lecco, 1910 – Milano, 1992), lombardo come Caravaggio, è una riflessione sulle forme e sulla materia della natura. Per Piero Ruggeri (Torino, 1930 – Avigliana, 2009) il riferimento a Caravaggio è da intendersi come relativo allo spazio pittorico e all’articolazione compositiva (opere del 1963 e 2002); Sergio Saroni (Torino, 1934 – 1991), partecipe di una folgorante stagione pittorica legata alla nuova figurazione a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, è autore di due opere che mostrano la transizione tra informale e figurativo (1964 e 1966).
Giorgio Scalco (Vicenza, 1929) tratta canoniche tematiche (figure in interno e natura morta) usando una meditata tecnica pittorica che predilige velature e sovrapposizioni piuttosto che impasti materici (tele del 1978 e 1986), dei quali si giova invece Renzo Vespignani (Roma, 1924 – 2001), artista di riferimento, nell’ottica di un crudo realismo, per la ricerca figurativa negli anni 1960-1980 (qui presente un olio su tela del 1960).
Giacomo Soffiantino (Torino, 1929) ha realizzato per questa mostra due d’apres caravaggeschi (2010): in essi la citazione si stempera nelle modalità tipiche della sua pittura, caratterizzata dall‘intensità dell’ispirazione e dagli arditi tagli compositivi.
Lo stesso soggetto (Incredulità di S.Tommaso) si rileva in una delle due opere (1983) di Riccardo Tommasi Ferroni (Pietrasanta, 1934 – Pieve di Camaiore, 2000): l’artista, noto per i suoi diretti richiami alla pittura seicentesca, attualizza il soggetto, facendo vestire gli abiti della contemporaneità agli attori della rappresentazione.
La cifra distintiva delle opere di Luciano Ventrone (Roma, 1942), conclude Gatti, è l’iperrealismo: nell’esasperata, quasi disperante, veridicità delle sue nature paiono annullarsi le definizioni e così la fisicità delle forme può perdere, per assurdo, ogni riferimento reale (oli su lino del 2008 e 2010).
Il catalogo della mostra (5,00 euro) è edito dalla Fondazione Bottari Lattes ed è reperibile alla sede della Fondazione (via Marconi, 16). Presenta un saggio di Franco Fanelli sul caravaggismo nel XX secolo.
Vincenzo Gatti, curatore della mostra
Artista torinese, classe 1948, il curatore Vincenzo Gatti è stato titolare della cattedra di Tecniche dell’Incisione all’Accademia Albertina di Torino per circa vent’anni, diventandone direttore nel 1991 e nel 1992. Ha esposto in diverse personali in Italia e all’estero, tra cui a Milano, Torino, Trento e Olanda. Ha partecipato a numerose collettive, come a Milano, Castello di Barolo, Liegi, Thonon (Svizzera). È stato invitato alle più importanti rassegne di grafica, tra cui il Premio Biella, la Triennale dell’Incisione di Milano, la Biennale Internazionale della Grafica di Palazzo Strozzi a Firenze, l’Intergrafik di Berlino Est, la Biennale di Belgrado, la Biennale d’Incisione di Acqui Terme (premiato), la Biennale dell’Incisione Josif Iser in Romania (premiato), la I Triennale d’Incisione Città di Chieri (premiato).
Ha curato mostre, collaborato a cataloghi e pubblicato scritti riguardanti la pratica e la didattica dell’incisione. Dal 1971 fa parte dell’Associazione Incisori Veneti ed è stato segnalato più volte sui Cataloghi Bolaffi della Grafica Italiana.
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