Il tema del teatro è centrale nella letteratura e nella pittura di Mario Lattes. Il sipario rosso richiama il sangue di un’entrata in scena violenta. La tragedia dell’incendio del teatro Regio è rappresentata nell’omonimo romanzo come il momento in cui qualcosa di vitale finisce e il mondo si corrompe irrimediabilmente. Più che il teatro degli attori è il teatro delle marionette ad affascinarlo, con la fissità delle loro espressioni e la loro natura grottesca, talvolta persino malvagia. Gli occhi di vetro che troviamo in L’amore è niente, la scienza tassidermica, lo sguardo alienato sugli esseri umani rappresentati come fantocci o mummie, come marionette, rivelano il rapporto dolente dell’autore con un prossimo che è tale per vicinanza spaziale, non per fratellanza. Le marionette, immobili e inconcludenti, identificate in un’emozione sola dipinta sul legno del viso a colori accesi e ridicoli, simboleggiano il grottesco della condizione umana.
La casa di Mario Lattes, rievocata nella mostra commemorativa all’Archivio di stato, era arredata con grande gusto e senso scenografico. La teatralità dei fari e della moquette scura, le porte grigio antracite con le maniglie di ceramica bianca, i tappeti, le poltrone ricamate a cupi motivi floreali e quelle di velluto nero testimoniavano la cura per l’aspetto materico che corrisponde, in Lattes, all’attenzione per la sostanza ultima di ogni cosa. Alle tante librerie e ai numerosissimi libri, letti tutti, dal primo all’ultimo, erano appese le marionette collezionate da Lattes: la marionetta diavolo, la marionetta malvagia, la marionetta scheletro e molte altre. Accanto, seduto su una sedia a sdraio riparata da un ombrellone, un manichino per artisti a grandezza naturale si riposava con nonchalance. La sala era ricca di quadri, scherzi ottici, piccole sculture di cavalli, uova di struzzo e tantissime pipe.
Sono numerosi i simboli e i temi legati all’infanzia cari a Mario Lattes: il teatrino, le giostre con i cavalli, i personaggi delle fiabe ma ancor più sacro è il rispetto per il valore del gioco.
Il solo impegno possibile è quello di verificare incessantemente il nostro limite senza porcene alcuno. Esser decadente è un modo di essere libero. Libero di cosa? Libero soprattutto di ritrovare il valore del gioco: ciò ch’è poi assai più serio che non si creda
Da Fenomenologia di un decadente. Mario Lattes: homo ludens, articolo del 1957 su «La Tartaruga/Il Milione».